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Un taccuino bianco, una distesa di neve. Di pagina in pagina viene abitato, scritto, strappato e poi steso nuovamente a coprire membra, parole, scie mute di azioni già finite.
In un’epoca che ti definisce per quello che “fai”, proprio quando questo fare si fa più evanescente, confuso e instabile, nell’anno di un centenario che mediaticamente celebra un eccidio quasi dimenticato, facciamo capolino sui campi della Grande Guerra europea.
“Non passa lo straniero” si cantava quando il nemico risiedeva entro i confini di Schengen. Oggi sono altri i cimiteri dei morti senza nome e per loro non suona la fanfara. Disertare, impazzire, sottrarsi, non già come presa di posizione di un soggetto collettivo, perché di questo bisogna pur essere capaci. Solo il singolo, fragile, e invisibile atto individuale di chi si arrende e fallisce. Oggi come allora il fuoco amico ti toglie il lustro di una fine gloriosa. Resta il silenzio, frammenti di discorsi, di lingue e di esseri umani. Resta un corpo ritto, le mani alzate, i piedi affondati in mezzo a cumuli di carta strappata. Spalle a chi guarda, di armi non ne ha. Sparate al disertore.
Marta Gilmore